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America Latina: dalla decade vinta alla decade di contese

America Latina: dalla decade vinta alla decade di contese

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América latina, dalla decade vinta alla decade di contese

Centro Strategico Latinoamericano Geopolítico (CELAG)
 

 

Analisi della fase geopolitica

Le trasformazioni geopolitiche (e geoeconomiche) in corso, senza precedenti nel passato, appuntano verso una transizione sistemica in cerca di un riordinamento degli equilibri di forza, con nuove configurazioni istituzionali, economiche , militari, culturali-ideologiche e commerciali. Nel momento attuale, inizio della seconda decade del secolo XXI, il primato statunitense è in un parsimonioso declino e con esso l'ordine interstatale e l'economia- mondo da essa derivata. In questo contesto, si apre uno scenario incerto, marcato dall'emergenza di nuove potenze e blocchi regionali, che sebbene non assumono il ruolo di leadership globale, producono un precario equilibrio multipolare.

La crisi capitalista che colpisce i paesi centrali dell'economia mondo – convertita in crisi organica per esempio in molti stati del sud dell'Unione Europea – apre spazi per cambi politici inediti, e riconfigurazioni di blocchi oggi difficilmente prevedibili. Il ruolo che giocano la Cina, in modo relativamente sussidiaria, le economie del sud-est asiatico, può essere decisivo nel nuovo scacchiere globale. I paesi (erroneamente) definiti emergenti, rappresentati dai BRICS (più Argentina), continuano a giocare un ruolo protagonista nel riordinamento mondiale. Tutto si muove a gran velocità; le recenti analisi già sono obsolete. La velocità in questa metamorfosi geopolitica richiede di attualizzare la visione globale, ancor più nel caso dell'America Latina come nuova regione proattiva in questo processo di riconfigurazione.

Di fatto, America latina, in questi anni, incarna questo cambio d'epoca, globale e regionale, con desideri di una proposta convergente d'integrazione regionale in piena disputa, però talvolta, con iniziative di carattere opposto, che oscillano da cambiamenti strutturali antiegemonici, passando per proposte postneoliberali moderate, sino ad altre già formulate e conosciute, conservatrici dell'ordine stabilito, contro il progresso.

Negli ultimi anni, la regione ha sofferto innumerevoli cambiamenti nei nuovi governi, nuove politiche economiche, e fondamentalmente, nuovi spazi di articolazione delle relazioni economiche tra i paesi. L'ultima decade, una decade vinta da buona parte dell'America Latina in termini di sviluppo sociale ed espansione democratica, si è caratterizzato da un dislocamento vigoroso delle relazioni commerciali/produttive/sociali/culturali/politiche. In poco tempo, gli accordi commerciali hanno variato le proprie condizioni, di paesi, di blocchi. L'interesse crescente di strutture produttive più solide ha comportato il ripensamento delle diverse forme dell'interagire economico con il mondo, e in particolare, dal proprio seno della medesima regione. L'elevata inflazione integrazionista è giustamente il risultato di questo, della non definizione propria di molteplici obiettivi, di molte correnti, di tentativi di conciliare i diversi modelli di sviluppo e di accumulazione esistenti al giorno d'oggi dentro la regione. Inoltre, di fondo, la tensione tra politiche di taglio nazional-popolare e l'architettura transnazionale (regionale) è sempre un fatto che deve essere presente in qualsiasi analisi di prospettiva.

America Latina non è più quella delle decadi di sconfitte, dove le politiche neoliberali venivano implementate attraverso Programmi di (dis(Aggiustamento Strutturale e Piani di (de)Stabilizzazione. Verso metà della decade degli anni settanta, l'economia-mondo fa un cambiamento importante in relazione al modello di accumulazione capitalista, abbandonando il ruolo centrale che aveva avuto lo Stato e transitando verso un modello dove (ciò che erroneamente chiamano) il mercato gioca un ruolo centrale. Questa nuova tappa neoliberale ottiene che lo Stato si riduce però senza mai scomparire; è di fatto il nuovo Stato – coorporativo e privatizzatore – che facilita l'entrata dell'America Latina alle logiche della OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio), dei Trattati Bilaterali di Investimento, e di sottomissione al CIADI (Centro Internazionale Regolazione Differenze Relative a Investimenti), giudice e parte dipendente dalla Banca Mondiale.

L'espansione dei mercati finanziari – motori per la  veloce circolazione dei dollari – e la crisi del petrolio hanno contribuito in grande misura al cambio di padrone dell'accumulazione. La produzione inizia a mettersi al servizio del capitale finanziario. La tendenza osservata dalla decade degli anni settanta indica una maggiore mobilità geografica del capitale, prodotto dei cambiamenti nell'organizzazione dei processi di produzione e interscambio. E Latinoamerica non è stata aliena a questo processo: la crisi del debito e l'iperinflazione sono state le scuse perfette per l'invasione delle politiche economiche neoliberali caldeggiate dal centro dei paesi capitalisti in primis Ronald Reagan negli Stati Uniti, e Margaret Thatcher nel Regno Unito. Ciò nonostante, la dittatura di Pinochet in Cile, e anche quella di Videla in Argentina, sonos tati di fatto un fedele avanzamento del neoliberismo economico che è giunto dopo.

Il sistema mondo imponeva nuove condizioni alla periferia. Quasta volta, era il turno dell'apertura obbedendo alle necessità del grande capitale finanziario internazionale. Durante queste decadi, le politiche economiche neoliberali sono statedirette a distruggere lo Stato come produttore, come controllore dei settori strategici, e relegarlo a regolatore a favore delle assegnazioni in logica capitalista. In questi anni sono state implementate tutte le politiche necessarie affinchè si producesse un trasferimento di valore dagli uni agli altri, da una maggioranza popolare (impoverendola) verso una minoranza (arricchendola). La sovranità era stata quasi estirpata a favore di altri interessi, a favore di innesti subordinati e diseguali nel mondo. Il modello produttivo, in questi anni, era stato scelto per rispondere alle esigenze mondiali. Il modello primario esportativo era rafforzato nei paesi della periferia, e come tale, in America Latina; la deindustrializzazione è stato un fatto. La domanda interna era soddisfatta in gran misura da una significativa politica d'importazione che ha generato una forte dipendenza nella soddisfazione delle necessità a favore delle imprese internazionali. Erano queste coloro che sostituivano qualsiasi tentativo di produzione interna. Così il trasferimento di valore verso l'estero era assicurato; le relazioni d'interscambio erano assolutamente inique; e il modello produttivo nazionale, sia nei prodotti che nei produttori, era in forte dipendenza nei confronti dei modelli produttivi internazionali. Il "Consenso di Washington" è riuscito a conformare una regione che produceva quello che i paesi centrali richiedevano. L'interscambio diseguale tra il centro e la periferia era rafforzato dall'egemonia delle politiche economiche neoliberali, e dalle sue istituzioni internazionali (Fondo Monetario Internazionale – FMI – Banca Mondiale – BM – Banca Interamericana di Sviluppo – BID. Questo, a sua volta, generava un'interscambio ecologicamente diseguale, dove le risorse naturali dei paesi periferici erano disposte alla spoliazione da parte delle multinazionali dei paesi centrali in cambio di salari bassi e una multitudine di impatti negativi ambientali. America Latina rafforzava così la sua "specializzazione al ribasso", risultato delle sue grandi ricchezze in risorse naturali che erano richieste dai paesi centrali del sistema – mondo capitalista. Il capitalismo (neoliberale) per depossessione, come usava dire Harvey, fu messo in pratica.

In questo periodo la regione mai ha guardato se stessa, gli scarsi spazi d'integrazione venivano disegnati dal centro del sistema – mondo, seguendo strettamente un'ottica commerciale, lasciando da parte assolutamente l'aspetto produttivo, finanziario, sociale e culturale. Solo ed esclusivamente l'integrazione commerciale, più centrata nel facilitare le regole affinchè il commercio fosse asimmetricamente libero, e crescesse senza facilitare le migliorie strutturali richieste nelle economie nazionali per garantire un cambiamento reale nel modello di accumulazione a favore delle masse escluse.

Le politiche economiche neoliberali hanno avuto un grosso impatto nella disentegrazione sociale ed economica in tutti i paesi della regione: incremento della povertà, esclusione economica-sociale-politica-culturale, diseguaglianze, disoccupazione, precarizzazione delle condizioni di lavoro, erosione della natura e acutizzazione delle esclusioni coloniali e patriarcali. Di fronte a questo panorama, e con un crescente discredito dei partiti politici tradizionali, gran parte della popolazione ha risposto con grandi mobilitazioni originando un nuovo tessuto sociale più organizzato che richiedeva cambiamenti e trasformazioni nel terreno politico, economico, sociale e culturale. Il nucleo comune di tutte le richieste era quello di mettere fine alle politiche di tagli neoliberali che erano fruttiferi solo per pochi a fronte della sottomissione di molti. La regione ha cambiato il segno politico. Le azioni collettive in alcuni paesi del Latinoamerica hanno condotto all'elezioni di governi definiti "progressisti", che posero piattaforme politiche  alternative al paradigma economico dominante. Sono molti i paesi che si sono imbarcati in questo difficile ma necessario cammino di costruire una nuova organizzazione economica, politica, sociale e culturale, di forte profondità democratica, nel mezzo di un mondo globalizzato, che nonostante la sua transizione sistemica, ancora conserva forze economiche e politiche che non permettono grandi dissonanze in relazione all'ordine economico costituito nel sistema capitalista mondiale.

In questa giravolta politica in essere, in mezzo a questa transizione sistemica geoeconomica mondiale, uno dei principali temi da evidenziare è che la regione ha iniziato un lungo cammino per costruire se stessa in un quadro di maggior indipendenza dai poteri economici dominanti su scala globale. Sono comparsi nuovi spazi d'integrazione, che non solo corrispondono al desiderio di un maggior interscambio commerciale tra i paesi vicini (nell'ambito della regione), ma che iniziano a impostare nuovi stadi di relazioni più eque e giuste. Tra questi nuovi tentativi, L'Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra America – Trattato di Commercio dei Popoli (ALBA-TCP) è stato senza dubbio il nuovo luogo d'incontro dove alcuni paesi della regione iniziano a costruire sovranazionalmente un nuovo paradigma economico che stabilisce principi di giustizia nelle relazioni, siano esse di natura commerciale, culturale, sociale o finanziario, e sebbene in ritardo ora anche nell'ambito produttivo. Non ci può essere piena integrazione e integrazione virtuosa se non esiste una integrazione produttiva in base alla coplementarietà. Solo così, con questa strategia, si potrà condurre a buon fine piani nazionali di sviluppo che siano sostenibili, sovrani, emancipatori e che ottengano veramente d'intervenire nelle ragioni strutturali delle asimmetrie economiche.

L'America Latina ha appreso in questa nuova epoca che "non esiste cambiamento interno senza altrettanti cambiamenti nelle relazioni con l'estero"; il processo di sostituzione che è stato perfezionato in questi ultimi anni è quello che ha cessato di avere una relazione di condizione monopolistica con le economie centrali per transitare verso una nuova strategia di affinità con i nuovi poli economici, e molto nello specifico con la nuova regione. Un maggior interscambio con complementarietà nella regione è l'unico modo di emanciparsi – almeno parzialmente – dalle relazioni diseguali con il centro economico mondiale. A questo proposito, va registrato che tale esigenza di un maggiore interscambio su basi complementari non può essere soddisfatta esclusivamente per l'eccesso dei processi di integrazione (inflazione integrativa) che stanno avvenendo in America Latina negli ultimi anni. Non si tratta di assimilare questa sfida a partire dai molteplici processi d'integrazione regionale, nei quali esistono sovrapposizioni di ambiti d'integrazione (commerciale/produttiva/finanziaria); si tratterebbe di ordinare virtuosamente l'America Latina, in modo intelligente, in un quadro d'integrazione che raggiunga equilibri tra sovranità nazionale e architettura sovranazionale. Ciò supporrebbe anche una nuova politica statale che limiti gli interessi privati delle imprese e li reinserisca in nuove relazioni economiche complementari con imprese e progetti statali della regione, occorrerebbe anche pensare alla possibilità che le nuove integrazioni stabiliscano attori economici (privati, pubblici o misti) che possano sostenere, viabilizzare e difendere detta articolazione regionale.

Sino a pochi anni fa, la regione aveva due grandi spazi d'integrazione, reciprocamente escludenti tra loro, la Comunità Andina delle Nazioni (CAN) e il Mercato Comune del Sud (Mercosur). Chi apparteneva a uno non stava nell'altro. Però dall'irruzzione del progetto bolivariano politico, l'ALBA-TCP, tutto è cambiato. Questo nuovo spazio ha aggregato alcuni paesi del Sudamerica con altri del Centroamerica e dei Caraibi. Il grande salto qualitativo di questo progetto è senza dubbio quello di superare i criteri ingiusti per interscambi commerciali. Per la prima volta nella regione, nasce un sistema di compensazione che cerca di evitare l'interscambio diseguale, con prezzi giusti, partendo da un sistema di propri conti (Sistema Unitario di Compensazione Regionale – SUCRE). Questo fatto unito al movimento strategico del Venezuela, che ha abbandonato la Comunità Andina delle Nazioni (CAN) – definitavemente nel 2011 – per incorporarsi al Mercosur è stato determinante per avere una regione ben diversa in termini d'integrazione. Dall'altro lato, la CAN dopo il diniego della Unione Europea in relazione alla sua proposta di accordo di libero commercio, è stata praticamente disintegrata. La CAN si è trovata senza il Venezuela rimanendo con due paesi (Perù e Colombia) con le mani legate dalla firma di un Trattato di Libero Commercio (TLC) con l'Europa, complicando così le condizioni di convivenza con altri paesi che non hanno accettato queste asimmetriche regole del gioco. Dall'altra parte, c'è un nuovo Mercosur; l'arrivo del Venezuela l'ha portato a essere la quinta economia del mondo, e si costituisce così uno spazio particolarmente attrattivo per il suo potenziale economico; anche la Bolivia ha accettato di entrarvi; e attualmente l'Ecuador sta valutando di farne parte; il Paraguay torna ad esserne membro dopo le ultime elezioni ma con molte questioni che dovrà chiarire per via dei suoi nuovi impulsi neoliberali nella sua politica estera. Il Mercosur, senza alcun dubbio, si trasforma in un nuovo protagonista del secolo XXI come spazio integrazionista, nel campo commerciale, finanziario e in quello produttivo; però allo stesso tempo, è uno spazio caratterizzato dalle grandi disparità nelle economie partecipanti. Il Brasile essendo parte delle nuove economie emergenti; l'Argentina anche fa parte del G20 e con tendenza a crescere; e ora il Venezuela un'altra grande potenza. Al loro lato, altre economie minori in posizione a rischio, se non vengono impostate le condizioni che impediscono scambi diseguali, e, sopratutto, un'integrazione produttiva diseguale che si traduce in collegamenti produttivi asimmetrici per entrambi i casi. Situazione che potrebbe spingere questi paesi a percepire come attrattivi i trattati di libero commercio.

Dall'altro lato, non dobbiamo scordare il ruolo geostrategico dei paesi dei Caraibi, che sono stati considerati da parte degli Stati Uniti come la propria frontiera naturale durante tutto il XX secolo, termine usato dallo stesso G.W. Bush, che li definì come la "terza frontiera". Per ragioni ovvie di geostrategia regionale, Washington ha sempre sperato di mantenere la sua influenza diplomatica, politica ed economica nella regione. Per questo, ha lanciato progetti economici e strategici diretti a creare e a mantenere nessi d'interdipendenza con i Caraibi e Latinoamerica. La Caricom (Comunità di Stati dei Caraibi) è stata il supporto naturale delle politiche di Washington dalla sua nascita. Senza dubbio, questa influenza esclusiva, è attualmente indebolita a causa della importanza crescente l'iniziativa, Petrocaribe, un'alleanza in materia petrolifera tra alcuni paesi dei Caraibi con il Venezuela. L'accordo si basa fondamentalmente su l fatto che il paese fornisce crudo agli altri membri a condizioni estremamente vantaggiose. A oggi quindi, il Centroamerica è divenuto un'altro spazio in disputa, dove gli Stati Uniti mantengono un'ampia capacità d'influenza, anche la Cina mostra il suo volto espansionista su questo territorio, e il Venezuela è riuscito a essere un alleato privilegiato in termini economici, e anche politici. Nemmeno dobbiamo scordare l'attenzione che lentamente il Brasile giustamente mostra in quest'area geopolitica in contrapposizione alla leadership degli Stati Uniti.

In questo stesso senso, il primo scenario di combattimento è stato l'Honduras, con la sua recente contesa elettorale, dove – contro i pronostici – i dati ufficiali danno come vincitore il candidato conservatore del Partito Nazionale che fronteggiava la leader progressista (Xiomara Castro); sposa del presidente sconfitto Zelaya). Questo paese è stato un laboratorio di golpe militari da pochi anni (2009); e ora, con una densa e non dissimulata partecipazione dell'ambasciata statunitense (nel processo elettorale, nella formazione tecnica e dopo in qualità di osservatore internazionale), torna a costituirsi in uno spazio di lotta di un'ampia maggioranza popolare che resiste all'egemonia interna appoggiata dall'estero. Gli Stati Uniti voluto mettere in chiaro che il Centroamerica non era uno spazio negoziabile. Nonostante le parole di John Kerry, segretario di Stato degli Stati Uniti, la dottrina Monroe continua ad essere attuale.

Non si può dimenticare un altro fatto determinante in questa nuova configurazione d'integrazione regionale: l'apparizione dell'Alleanza del Pacifico (AP), dove il Perù, Colombia, Messico e Cile (e Costa Rica previdibilmente in un futuro molto vicino), tutti con accordi di libero commercio con gli Stati Uniti e Unione Europea, si articolano tra se, con solide affinità in rispetto al modello economico proposto. Di fatto, questa AP non può essere vista nè tantomeno come un mero accordo commerciale – come remake dell'Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), ma deve venire qualificata come un processo d'integrazione neoliberale in cerca di mettere fine alla Decade Vinta raggiunta da molti paesi della regione grazie alle politiche di trasformazione a favore della maggioranza della popolazione.

Ogni volta è più trasparente il desiderio degli Stati Uniti (e dell'Unione Europea): un'America Latina divisa in due, disgregata in . almeno – due grandi metà – cosicchè cessi di essere quel blocco monolitico che nel quale sta sviluppandosi nel nuovo mondo multipolare. Recenti articoli dei think thanks conservatori già prendono atto della "maturità" del Latinoamerica e del suo maggior peso globale, e aspirano a uno spazio geopolitico trilaterale Unione Europea- Stati Uniti – America Latina, in base alle loro comuni radici "occidentali", in termini strettamente liberali: diritti individuali e mercati "aperti". Questa sarebbe la pretesa, anche, di buona parte dell'oligarchia finanziaria, del potere mediatico concentrato, del capitale multinazionale e dei grandi padronati nazionali: una regione divisa in due metà che diddipi qualsiasi possibilità di innalzare e consolidare una alternativa globale di avanzata nel senso postneoliberale, in pace, senza guerre, con redistribuzione, miglioramenti sociali e approfondimento della democrazia.

E' per questo, che negli ultimi mesi si sono accelerati molteplici movimenti dei pezzi di scacchi nell'attuale gioco dei troni che presuppone il corso geopolitico in America Latina; la tensione è servita tra processi riformisti, rivoluzionari e controrevoluzionari. Sono stati molti i tentativi falliti del potere egemonico mondiale per abbattere le proposte progressiste: golpe alla democrazia in Venezuela (2002), Bolivia (2008) e Ecuador (2010). Senza dubbio, altri che sono stati un successo: Honduras (2009) e Paraguay (2012). Dal rifiuto dell'ALCA (2005), gli Stati Uniti alla testa (con l'Unione Europea al suo fianco) non demorde per raggiungere, in prima istanza, un'America Latina divisa e ripartita in due, con un blocco affine, rappresentato nell'Alleanza del Pacifico, per dopo, poter "colonizzare" il resto, ottenendo così il sogno del passato: un cortile di casa che va dal Messico sino all'Ushuaia. Questa Alleanza Pacifico è giustamente la punta di lancia per assentare le basi della nuova mappa geopolitica condizionata agli interessi dei grandi capitali. Capeggiata dalla Colombia, attraendo paesi chiave in Centroamerica (Costa Rica è molto vicina dall'essere un nuovo membro; El Salvador finisce di confermare la sua entrata a breve), l'Alleanza Pacifico continua a costruirsi velocemente come blocco politico regionale di gran forza.

E' per questo che nei prossimi anni, dopo questa decade vinta che ha messo fine alle decade perse neoliberali, si suppone un nuovo periodo di contesa, una sorte di decade decisiva – decade  disputata, che determinerà il futuro di questo nuovo polo politico e economico. L'America Latina non solo è in una disputa interna, ma anche esterna come ben esplicita la nuova strategia segnalata nel documento del Consiglio Atlantico: The Trilateral Bond: Mapping a New Era for Latin America, The United States, and Europe' ('El Vínculo Trilateral: Inspeccionando una Nueva Era para América Latina, EE.UU. y Europa').

Este informe es contundente en cuanto a la importancia de América latina a nivel mundial; y por ello, se retoma así el deseo de incorporar a este bloque al “redil atlántico”, constituyéndose así en una prioridad en la política exterior de los EEUU y UE. América Latina no es ya sólo una región en disputa interna, sino un continente con mayor influencia en el sistema interestatal y que verá enfrentarse proyectos geopolíticos diferentes e incluso antagónicos para su nueva ubicación en el espacio global.

Por tanto, todo está en juego, en disputa, en movimiento: el ALBA, la UNASUR, el Mercosur, la Alianza del Pacífico, incluso la CAN, también la Organización de los Estados Americanos (OEA), y por supuesto, la Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (CELAC).

La desaparición de Chávez, Kichner y Lula del escenario político de una América Latina en la que los modelos políticos presidencialistas maximizan el peso del personalismo, sin duda pesará en detrimento del campo político progresista, construido en torno a la imprescindible retórica y relato de la transformación y la movilización de las masas, muy vinculado por otro lado a la capacidad tractora de estos liderazgos. La derecha continental por el contrario, instalada en la mediocridad política y el halo tradicional de credibilidad de sus propuestas tecnocráticas se vería beneficiada por, en ausencia de grandes liderazgos, un retorno de la “no política”.

La muerte de Chávez y la ofensiva nacional e internacional contra el chavismo liderado por Maduro; los resultados de la segunda vuelta en las elecciones de Chile que podrían beneficiar a Bachelet, empujada a llevar una agenda más progresista que en su anterior mandato –e incluso a hablar de cambiar la constitución postpinochetista- por los desplazamientos operados en la sociedad civil por los movimientos sociales; las otras elecciones en países estratégicos de Centroamérica, Costa Rica y El Salvador; la nueva apuesta de Paraguay al Pacífico; la vuelta del moderado Tabaré a Uruguay en sustitución del progresista Mújica –salvo que Constanza Moreira lo impidiera-; la nuevas elecciones en Argentina sin Cristina Fernández de Kirchner después del avance de la nueva apuesta de la derecha posneoliberal con Massa; el cada más vez sólido no aislamiento de Cuba (incluso presidiendo la CELAC); los enigmas del todopoderoso Brasil con una nueva política que deberá atender más adentro que fuera; las elecciones del 2014 en Bolivia que podrían seguir consolidando esta propuesta de cambio; los años de Correa en su último (o no) mandato con el objetivo de seguir con las transformaciones estructurales; México que vuelve a mirar hacia al Sur sin dejar de mirar al Norte; el modelo peruano tendrá que responder cuán sostenible es si sigue queriendo satisfacer a todos sin cuestionar a las injustas estructuras; la sucesión de Santos en una Colombia que vive la pugna en la propia derecha, así como un particular proceso de paz al mismo tiempo que ha ido consolidando los lazos con la OTAN; las elecciones irregulares en Honduras con un desenlace político y social aún incierto; y, además, el acuerdo comercial entre la Unión Europea y los Estados Unidos de fondo.

Algunas características del cambio de época latinoamericano 


Si se puede afirmar que Latinoamérica está viviendo un “cambio de época” es por la convergencia de grandes líneas de transformación que no cierran el horizonte de posibilidades futuras ni aseguran ningún destino, pero sí descartan la mera restauración del orden anterior.

Realizar un análisis, exposición crítica y discusión de los componentes de este nuevo tiempo político en la región excede con mucho la voluntad de este documento. No obstante, una somera enumeración, con más pretensión de mapeo que de exhaustividad, puede ser de utilidad para caracterizar mínimamente el escenario geopolítico en la región.

En primer lugar, uno de los rasgos más evidentes del nuevo tiempo político es la coincidencia, no casual, de gobiernos de signo democrático-progresista en la región. Pese a los diferentes ritmos, horizontes y acentos, nunca antes coincidieron en Latinoamérica y el Caribe tantos ejecutivos comandando procesos de redistribución, construcción de soberanía y ampliación del campo democrático. Además, estos gobiernos están liderando, como ya se ha explicado, procesos de integración y construcción regional que han superado los límites declarativos y apuntan en un sentido de transformación geopolítica. Este fenómeno, llamado del “giro a la izquierda”, así como las condiciones geopolíticas que lo han hecho posible, cuando en el pasado fue tantas veces truncado, merecen una atención prioritaria por las posibilidades de avance histórico y por su implicación global. Es bueno recordar que América Latina, en un momento global de violencia, desestructuración y desencanto, se ha convertido en un espacio político y cultural privilegiado para la mejora colectiva de la vida, y por tanto en una referencia mundial para las personas y los pueblos progresistas.

En segundo lugar, el panorama intelectual y cultural latinoamericano se encuentra marcado por un cierto repliegue defensivo –que no desaparición- de las ideas conservadoras-liberales y de los proyectos de las élites históricas, que están experimentando importantes mutaciones para adaptarse a los nuevos consensos en despliegue, anudados a partir de la crisis del modelo neoliberal y basados en una nueva centralidad política de “las masas” como sujeto político. Estos nuevos consensos en formación deben ser investigados, analizados y problematizadas sus dificultades, sus ángulos muertos y sus tensiones internas.

No obstante, este repliegue o necesidad de adaptación a un campo discursivo marcado por la centralidad de algunos de los términos, los valores y las propuestas progresistas, está considerablemente limitada al menos por dos elementos, que condicionan el alcance relativo de la hegemonía del relato posneoliberal y obstaculizan su sedimentación en una sociedad civil y una estatalidad que consoliden los cambios progresistas.

Por una parte, la escasez general de una nueva intelectualidad orgánica para la transición estatal, capaz de conjugar la movilización política con la gestión en clave transformadora y eficaz. La necesidad de ocupar posiciones para la disputa al interior del Estado, la ampliación de lo público y el carácter abrupto de las rupturas populares ha consumido las mejores energías de una primera hornada de militantes políticos que han tenido así muy poco tiempo para formar a sus sucesores en términos teóricos, ideológicos y políticos. Sólo esta formación es un antídoto contra las inercias de unas administraciones y sociedades civiles mayoritariamente hegemonizadas por la vieja política, el clasismo y el conservadurismo. Los procesos de cambio político de signo popular tienen entre una de sus principales dificultades la de producir, en un tiempo político marcado por la urgencia, los cuadros políticos para la construcción del nuevo Estado y los cuadros intelectuales para la renovación de la primacía cultural, moral y estética de las fuerzas emancipadoras. Además, estas dos tareas, en lo posible, deben irse entrelazando y entremezclando. Este aspecto requiere un trabajo prolongado de ir construyendo tanto las bases materiales –centros de estudio y análisis, publicaciones, becas, programas de formación, medios de difusión del pensamiento, premios literarios y científicos, estímulo a la cultura transformadora, etc.- como los mimbres conceptuales, gramaticales y simbólicos para un relanzamiento de la capacidad de las ideas del bloque popular para determinar el horizonte y los códigos de su tiempo.

Por otro lado, los hábitus culturales de las sociedades latinoamericanas, también aquellas atravesadas por procesos de acceso popular al Estado, siguen estando mayoritariamente marcados por prácticas sociales, horizontes estéticos y aspiraciones que responden a la mayor capacidad de seducción de los mitos, ficciones orientadoras y valores del capitalismo: violencia, machismo, consumismo, cultura de la indisciplina y la inmediatez, ineficacia, irresponsabilidad, etc. Esto constituye un considerable y poderoso freno –especialmente por su carácter “invisible”- a los procesos que buscan, partiendo de las comunidades de las clases populares, fundar una esfera pública socialista para el buen vivir, el vivir bien, el socialismo del siglo XXI o cualquier concepción cuya principal meta sea la expansión de la igualdad y de la libertad. Se trata aquí de afrontar una lenta modificación antropológica sin la cual las modificaciones jurídico-institucionales corren siempre el riesgo de quedar como trincheras desguarnecidas.

Al mismo tiempo, es importante recuperar un análisis sobre las derechas latinoamericanas y sobre las acciones de los grupos económicos y financieros. La mirada de las últimas décadas, colocada –principalmente- en los movimientos sociales y en el Estado nos ha hecho relegar en análisis sobre los “contrincantes” centrales que tienen estos gobiernos a la hora de la introducción de cambios económicos y políticos. Se hace necesario construir un mapa de los actores que desde el campo conservador son productores de análisis, propuestas, interpretaciones o expresiones que después se convierten en munición de primer orden para la batalla política. Este análisis no debe quedarse en identificar centros o instituciones, sino en diagnosticar sus principales estrategias en la disputa por el sentido, la interpretación y la proyección del presente.

En tercer lugar, el Estado vuelve a estar en el centro de la discusión política y social, ya no como problema, sino como espacio privilegiado –aunque no único- de la política y la vida en común. Su retorno reabre gran parte de las cuestiones históricas de los procesos emancipadores: su relación con la construcción de comunidad, con la democracia, la representación y la libertad, su articulación territorial y con la diversidad étnica, su transformación, la institucionalidad y los equilibrios de fuerzas, su autonomía relativa o sus inercias. Su condición de “máquina”, “sistema de aparatos y dispositivos” o “campo de disputa”. La cuestión del Estado es en Latinoamérica, especialmente en sus procesos de avanzada, la cuestión de la transición, que obliga al pensamiento crítico a trabajar por articular la política como conflicto y ruptura con la política como gestión y construcción de orden; el triángulo del que habla Rafael Correa para referirse a la necesaria conciliación de libertad, igualdad y eficacia.

En cuarto y último lugar, el socialismo o la propuesta de construcción de un gobierno popular, cobra una cierta importancia política no tanto como programa acabado sino como horizonte, como tensión emancipadora. Pero esta función da muestras de relativo agotamiento por cuanto los procesos de cambio y gobiernos populares se topan con dificultades que no están en los viejos manuales, mientras que, bajo la excusa de no adelantar o imponer paradigmas, la reflexión crítica no parece haber trascendido el momento de la ruptura ni haberse atrevido a sugerir líneas de desarrollo, que han sido sustituidas por la constatación de las contradicciones y la celebración del inmediatismo. La consolidación de este tiempo histórico de transformaciones exige pensar las condiciones de la “irreversibilidad relativa” –pues en condiciones de libertad nunca puede ser absoluta- los anclajes económicos, culturales e institucionales que pueden fortificar las posiciones conquistadas sin esclerotizar las posibilidades de conquista de nuevas y más ambiciosas plazas. Esto pasa, necesariamente, por la construcción de instituciones eficaces que conviertan en cotidianidad los avances realizados, que no exijan la movilización permanente y que construyan una estatalidad que responda a la emergencia de los sectores subalternos.

Un tiempo histórico tan rico, tan atravesado de desafíos, tan fértil, tan sometido a una guerra por su lectura, exige análisis, estudios e interpretaciones audaces. Es necesario aggiornar la agenda de la ruptura en la región, librar la batalla intelectual por fijar los términos de las confrontaciones por venir –entre ellas, una ya indisimulada contraofensiva conservadora regional- y atreverse a proponer rumbos estratégicos para el avance popular. Ni la academia ni quienes se dedican al trabajo intelectual pueden quedar al margen de este esfuerzo, a riesgo de convertirse en convidados de piedra de un proceso histórico, tomadores de notas, guardianes de la verdad de los textos clásicos u opinadores de ocasión.

La década decisiva-década disputada en América latina

Caracterizada la década ganada y apuntados los rasgos de este cambio de época, se evidencia la disputa que llega, la que se libra ya y que hace decisivos los años venideros, situando como primera tarea la búsqueda de esas condiciones de irreversibilidad relativa que puedan fortalecer, profundizar este cambio de época regional hacia la el mayor peso de las voluntades y el buen vivir de las mayorías.

Hace más de diez años señalábamos cómo la región reacciona en contra de la progresión de empobrecimiento de las mayorías y en contra igualmente de la renuncia a la soberanía nacional, iniciando un cambio de rumbo en el que ahora nos encontramos, en el que se consigue implementar políticas de redistribución de la riqueza, mejorar las condiciones de vida populares, recuperar la soberanía secuestrada, o incorporar a la realidad política amplias capas de población invisibilizadas.

Pero lo que está en juego ahora es la dirección de esta tangente de cambio: más allá de estas conquistas, de la década ganada, toca ahora hacer propia la década venidera, escribirla con nombres propios, con lenguaje propio, con retos propios, con placeres propios, dibujar la escena y elegir la arena de disputa. Adelantarse a los peligros y evitar enconarse en neocapitalismos amables.

Los procesos de cambio y gobiernos populares se topan con dificultades que no están en los viejos manuales, estamos en los momentos de innovar y emanciparnos de proyectos caducos. Es momento de revitalizar la reflexión y el pensamiento latinoamericano, con este deseo de seguir siendo parte del semillero de ideas progresistas, populares y democráticas para el cambio social con sentido emancipador.


Centro Estratégico Latinoamericano Geopolítico (CELAG) está integrado por Alfredo Serrano Mancilla [1] , Iñigo Errejón [2] , Auxiliadora Honorato [3] , Esteban De Gori [4] , Sergio Pascual [5] , Sergio Martín Carrillo [6]

[1] Doctor en Ciencias Económicas.

[2] Doctor en Ciencias Políticas.

[3] Licenciada en Derecho.

[4] Doctor en Ciencias Sociales.

[5] Master en Antropología, Candidato a Doctor.

[6] Master en Ciencias Económicas, Candidato a Doctor.

 

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