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USA : I diritti umani nell’era Obama

USA : I diritti umani nell’era Obama

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I diritti umani nell'era Obama


 


Olga RodríguezEl Diario

Traduzione cura CeSPIn Puntocritico


 

Il peso della realpolitik continua a marcare l’agenda della politica estera degli Stati Uniti

Sotto l’amministrazione Obama gli Stati Uniti hanno commesso assasini extragiudiziari, hanno bombardato territori stranieri e ucciso civili, hanno venduto armi a dittature e governi illegittimi usate per reprimere la popolazione, hanno mantenuto aperto il carcere di Guantanamo, hanno rinnovato aiuti economici a eserciti repressivi e protetto agenti della CIA accusati di tortura. Ma nulla di questo è rientrato nel dibattito politico durante la campagna elettorale.

Esistono chiare differenze tra le politiche di Rommey e Obama. Però il carattere egemonico degli Stati Uniti pesa, sino al punto che Obama non è stato ciò che molti speravano fosse in materia di diritti umani. Al punto che lo stesso ex presidente statunitense Jimmi Carter – al di fuori dal sospetto di voler favorire il trionfo repubblicano – scriveva lo scorso giugno un articolo sul New York Times molto critico, in cui si accusava l’attuale governo di violare chiaramente “almeno dieci dei trenta articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, inclusa la proibizione contro le condanne crudeli, inumane e degradanti”.  Il presidente statunitense non è stato all’altezza delle aspettative che ha generato in determinati settori.

Nonostante le sue promesse, il carcere di Guantanamo continua ad essere aperto, con più di 150 prigionieri senza accuse chiare e senza diritti a un giudizio civile. Il governo ha bloccato sistematicamente le iniziative adottate da ex detenuti, che reclamano un risarcimento per le violazioni dei diritti umani e le torture a cui sono stati sottomessi.

 

 

I droni


Nonostante sia stato premiato con il Nobel della Pace, Obama si è configurato come il presidente della guerra dei droni, gli aerei spia non pilotati con cui gli Stati Uniti lanciano i loro attacchi in Pakistan, Afghanistan, Somalia o Yemen. Dal 2009 a oggi solo in Pakistan i droni statunitensi hanno ucciso almeno 1.488 persone. Secondo diverse fonti, come la New American Fundation, almeno 155 di queste vittime erano civili, 50 sono morte mentre soccorrevano altre vittime e più di 20 sono state attaccate deliberatamente da droni durante preghiere o funerali.

E’ lo stesso Obama in persona ad avere l’ultima parola per decidere se condurre un’attacco con aerei spia non pilotati in cui esista rischio di mettere in pericolo la popolazione civile. In realtà Washington definisce come militante, come dire, come obiettivo legittimo, qualsiasi uomo in età militare che si trovi in una zona attaccata da droni. Come recentemente denunciava un relatore delle Nazioni Unite, attraverso il programma di droni statunitensi si è potuto commettere crimini di guerra che devono essere investigati e denunciati. Il relatore dell’ONU sulle esecuzioni extragiudiziarie, Christof Heyns, ha avvisato che il programma di droni degli Stati Uniti mette in pericolo la legge internazionale e potrebbe animare altri paesi a spingere per tattiche simili. Se c’è il via libera perché Washington bombardi territori alieni, con quale legittimità si può pretendere il giorno successivo all’Iran, ad esempio, che non bombardi punti specifici di un determinato paese straniero? Non c’è bisogno di spiegare le conseguenze che questa strategia militare ha nelle popolazioni colpite: un recente studio delle Università NYU y Stanford denunciava il trauma psicologico che tali operazioni provocano in bambini e adulti. “I droni attacano abitazioni, veicoli e spazi pubblici senza previe avvertenze. La loro presenza terrorizza uomini, donne e bambini, provocando un chiaro aumento di casi di ansietà e traumi psicologici tra i civili”, indica l’informativa. E continua: “Le prove suggeriscono che gli attacchi statunitensi hanno facilitato il reclutamento di militanti in gruppi armati violenti, e hanno motivato attacchi ancora più violenti”.

 

 

“Andammo, vedemmo e morì”.

Obama voleva passare per la Libia in punta di piedi, ma la cosa si è complicata. Gli Stati Uniti e i suoi alleati optarono per mantenere l’operazione militare in Libia nonostante la risoluzione delle Nazioni Unite che approvò l’intervento stabiliva come unico obiettivo proteggere la popolazione civile. Si è aperto in questo modo il cammino a un’ingerenza straniera che ha agito a favore di una parte, cosa non stipulata dall’ONU, e dove la NATO ha perpetuato svariati attacchi  a civili uccidendo tre figli di Gheddafi. In realtà l’operazione non è terminata sino a quando non venne ucciso lo stesso Gheddafi. Prima del suo assassinio extragiudiziario, la Segreteria di stato Hillary Clinton ha manifestato quanto segue: “Andammo, vedemmo e morì”.

 

 

Bin Laden era un altro degli obiettivi di Washington e Obama decise di liquidarlo ai margini della legge internazionale. Che il terrorista più ricercato al mondo fosse disarmato non ha evitato che l’equipe di operazioni speciali statunitensi lo mettesse a morte. Con lui sono morti uno dei suoi figli e altre tre persone. Anche in Yemen gli Stati Uniti portano avanti una intensa campagna di attacchi, presuntamente contro gruppi antigovernativi, nei quali sono morti civili.

Vendita di armi a governi dittatoriali.

 

 

Con l’amministrazione Obama gli Stati Uniti hanno marcato un nuovo record nell’esportazione delle armi. Nel 2011 si è triplicata la cifra delle vendita di armamento statunitense, che raggiunse i 66.300 milioni di dollari, 21.400 milioni più che l’anno precedente. Il 77,7% delle vendite mondiali di armi furono realizzate dall’amministrazione statunitense. Tra i suoi grandi acquirenti ci sono governi dittatoriali, come la monarchia assolutista dell’Arabia Saudita, primo produttore di petrolio mondiale e per tanto uno dei grandi alleati di Washington in Medio Oriente.

Nel 2011 la Casa Bianca ha approvato l’invio di armi all’Arabia Saudita per un valore di 33.400 milioni di dollari. Detto accordo si è prodotto dopo che l’Esercito saudito avesse represso con brutalità le manifestazioni che chiedono diritti e libertà sia in territorio saudita come nel vicino Bahrein, mentre Washington guardava verso un altro lato. E, quantunque gli Stati Uniti dicano di promuovere l’embargo di armi alla Siria, la suddetta vendita di armi all’Arabia Saudita è avvenuta quando si sapeva che i sauditi stavano rifornendo di armi i ribelli siriani. Esiste inoltre un accordo che prevede l’esportazione di armi statunitensi all’Arabia Saudita in un lasso di 15 anni per un totale di 60.000 milioni di dollari, che costituisce la vendita di armi individuali più grande della storia. Washington è tornata a vendere armi anche al Bahrein, dove il governo continua ad attaccare e ad incarcerare manifestanti che chiedono democrazia, o all’Egitto, dove l’esercito l’armamento lo ha impiegato per attaccare i manifestanti. Questo non ha impedito che gli Stati Uniti siano tornati a rinnovare il proprio aiuto annuale di 1.300 milioni di dollari all’esercito egiziano. Altri paesi che violano i diritti umani e la legge internazionale a cui gli Stati Uniti hanno trasferito armamentisono Israele, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Kuwait e Honduras, così come hanno avvisato diverse organizzazioni internazionali difensore dei diritti umani. Tali denunce sono cadute nel vuoto. Come accaduto con governi statunitensi precedenti, la realpolitik pesa più che i diritti umani nella politica internazionale dell’amministrazione Obama.

 


 


La lista di morte di Obama e altre disposizioni.

 

Il giornale di The New York Times ha svelato quest’anno il presunto vincolo del presidente Obama a ciò che definiscono la “lista della morte” o “kill list”, un’insieme di nomi di presunti terroristi ricercati dalla casa Bianca. Detta lista, attraverso della cosìdetta “disposizione matrix”, include le risorse che richiedono la localizzazione, la cattura e l’uccisione dei sospetti. Durante l’amministrazione Obama si è anche approvata una legge che permette al presidente di ordinare la detenzione di una persona in modo indefinito per essere sospettata di appartenere ad organizzazioni terroristiche o “forze associate”, un concetto vago e troppo ampio che nega la presunzione di innocenza e legittima ogni tipo di abusi, negando infine anche la libertà di espressione. Al momento un giudice federale ha bloccato la suddetta legge. La amministrazione Obama sta per concedere l’immunità formale alla CIA in due casi di omicidio in due carceri segrete. Le vittime sono morte a causa della tortura. Le strutture di potere ostacolano anche i diritti di Habeas Corpus dei seimila prigionieri del carcere segreto di Bagram sotto comando statunitense, così come i diritti dei torturatori di Guantanamo e delle persone sequestrate e deportate da aerei della CIA in carceri stranieri, per essere interrogate, a volte con violenza (rendition program). Come indicava Adam Serwer in un articolo su Mother Jones “puoi torturare un detenuto sotto tua custodia sino alla morte e uscirne impunito. Solo non puoi parlarne”. Detto con le parole dell’ex presidente democratico Jimmy Carter, “la violazione dei diritti umani internazionali da parte degli Stati Uniti aiuta i nostri nemici e indebolisce i nostri amici.”

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