La rendiamo pubblica perché, al di là delle specificità del caso di Giusi, interviene in modo efficace ed inoppugnabile su questioni di carattere generale utili a tutti gli attivisti politici e sociali in quest’epoca di grande revisionismo storico e di repressione delle lotte.
Si rende la presente memoria in difesa dei diritti della Sig.ra G., dipendente del Comune di Casalecchio, sulla base della “Contestazione” formalizzata con il protocollo indicato in epigrafe, osservando quanto segue.
La “Contestazione” formalizzata alla Sig.ra G. è illegittima, per eccesso di potere nella rappresentazione dei fatti e nella qualificazione dei comportamenti, e illegale, per violazione del dovere di difesa dei diritti umani e della Costituzione, con i seguenti motivi.
1. Genericità dei contenuti della “Contestazione”.
Nel citato prot. 2019/36552, si desumono esclusivamente sei elementi di fatto, a base della “Contestazione”:
- a) che la Sig.ra G. «nel pomeriggio di lunedì 20 maggio 2019, in orario non lavorativo, ha preso parte ad una manifestazione tesa a contestare un comizio politico di Forza Nuova che si teneva in Piazza Galvani a Bologna»;
- b) che «nell’ambito di detta manifestazione avevano luogo alcuni scontri in Via dell’Archiginnasio tra i manifestanti e la Polizia di Stato»;
- c) che «in occasione» di tali scontri, la Sig.ra G. «assumeva un comportamento oltraggioso nei confronti degli agenti della Polizia di Stato, come si è potuto evincere dal materiale video e audio, disponibile in rete»;
- d) che da ulteriore materiale digitalizzato si trarrebbe «prova del coinvolgimento della Sig.ra G. nella manifestazione citata»;
- e) che ulteriore materiale ritrarrebbe la Sig.ra G. «mentre si rivolge agli agenti operanti durante una fase della manifestazione»;
- f) che non risulta pervenuta alcuna notizia di reato nei confronti della dipendente.
Su questi sei elementi di fatto, con i relativi supporti documentali, si cristallizzano le premesse dell’avvio del suddetto procedimento disciplinare.
Premesso che nessuna disposizione, legale o contrattuale, definisce che cosa sia un «comportamento oltraggioso» extralavorativo di un dipendente pubblico (al di là del Codice penale, la cui azione di interpretazione e applicazione spetta ovviamente solo al giudice, per riserva esclusiva di giurisdizione costituzionalmente garantita), è di tutta evidenza che, dei punti riportati, possono eventualmente risultare meritevoli di considerazione, in termini valutativi e probatori di una pubblica amministrazione, esclusivamente i fatti narrati alle lettere c) ed f) di riferimento al suddetto protocollo 2019/36552, dato che l’aver «preso parte ad una manifestazione tesa a contestare un comizio politico di Forza Nuova», con connessa«prova», costituisce espressione non solo di un diritto costituzionale di manifestazione del proprio pensiero, come tale insindacabile soprattutto quando non mette in discussione contenuti del rapporto di lavoro con la propria amministrazione, ma anche, in ragione del contesto in cui tale manifestazione è stata resa (l’opposizione al comizio politico di una organizzazione dichiaratamente neo-fascista come “Forza Nuova”), di un dovere di fedeltà alla Costituzione repubblicana antifascista.
Non si comprende, di conseguenza, in che cosa consisterebbe il «comportamento oltraggioso» nei confronti degli agenti di Polizia, dato che nessuna azione penale è stata mossa, alla data della “Contestazione”, nei riguardi della Sig.ra G.
Di conseguenza,
– dato che partecipare a una manifestazione antifascista costituisce esercizio di un diritto-dovere costituzionale (diritto di manifestazione del pensiero e dovere di fedeltà alla Repubblica antifascista),
– e che il «comportamento oltraggioso» non risulta definito negli estremi di offensività, nella riconosciuta assenza di effettiva qualificazione connessa all’accertamento penale cui spetta per riserva esclusiva,
diviene del tutto indeterminata, rispetto al parametro ineludibile di proporzionalità e ragionevolezza che deve orientare qualsiasi procedimento amministrativo compreso quello disciplinare, quale sia effettivamente la condotta imputata alla Sig.ra G, anche perché il bene giuridico tutelato dal reato di oltraggio a pubblico ufficiale è il regolare svolgimento dei compiti a lui assegnati. E, nel caso di specie, i documenti prodotti attestano che tali compiti non risultano essere stati ostacolati.
2. Fuorviante rappresentazione documentale dei tempi di presenza della Sig.ra G. alla manifestazione.
Inoltre, la combinazione documentatale visiva allegata al prot. 2019/36552, coniugata con la narrazione della “Contestazione”, richiamata nel paragrafo precedente ai punti b) e c), fornisce una scansione ingannevole dei tempi di presenza della Sig.ra G. alla manifestazione.
Infatti, la Sig.ra G. è arrivata in Piazza Galvani dopo gli «scontri in Via dell’Archiginnasio tra i manifestanti e la Polizia di Stato». Il che comporta che la «prova del coinvolgimento della Sig.ra G. nella manifestazione citata» non è affatto espressiva della partecipazione della stessa ai suddetti «scontri».
Di conseguenza, scrivere, come si legge nel testo della “Contestazione”, che, «in occasione» di tali scontri, la Sig.ra G. «assumeva un comportamento oltraggioso» non corrisponde alla realtà dei fatti e trae in inganno.
Basta porsi tre domande di comune logica, per rendersene conto.
C’è stata o no continuità di azione temporale tra partecipazione alla «manifestazione» e partecipazione agli «scontri», del tutto inesistente? In realtà, no. C’è stata o no contestualità temporale tra «occasione» degli scontri e
«comportamento oltraggioso»? In realtà, no.
E allora che comportamento ha tenuto la Sig.ra G. «in occasione» di tali scontri? Nessuno, perché la Sig.ra G. non era presente alla suddetta «occasione».
Il punto è dirimente, in quanto la ingannevole scansione temporale induce ad associare il contesto extralavorativo di valutazione della Sig.ra G. con l’evento, a lei del tutto estraneo, degli «scontri» e perché, con tale ingannevole scansione temporale, si lascia prefigurare un nesso di continuità – soggettivo e oggettivo – tra «manifestazione»-«scontri»-«comportamento», che invece la Sig.ra G. non ha in alcun modo perseguito, sia sul piano soggettivo – come sua effettiva volontà – sia su quello oggettivo – come effettiva presenza a tali «scontri».
Anche da tale angolo di visuale, pertanto, viene meno qualsiasi effettiva offensività meritevole di considerazione al di fuori di qualsiasi accertamento della qualificazione “oltraggiosa” del comportamento, che spetta esclusivamente al giudice.
3. Conseguente potenziale effetto elusivo del principio euro-unitario del “ne bis in idem”.
L’assenza di qualsiasi inquadramento della offensività del comportamento della Sig.ra G. , rispetto agli eventi effettivamente occorsi nonché alle eventuali qualificazioni penali cui la “Contestazione” esplicitamente pretende di rinviare, produce un effetto ulteriore di censura della “Contestazione” medesima, sul fronte specifico del potenziale effetto elusivo del principio del “ne bis in idem”.
Com’è noto, infatti, la Sentenza 4 marzo 2014, la Corte EDU Sez. II, nella causa “Grande Stevens e altri c. Italia”, ha chiarito i rapporti tra sanzione penale e sanzione amministrativa, per evitare un “bis in idem” sanzionatorio ricollegato ad un unico illecito attribuito alla stessa persona fisica, affermando il principio che sarebbe in contrasto con l’art. 4 del Protocollo 7 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” il ricollegare al medesimo illecito due procedimenti (penale e amministrativo) e due sanzioni (penale e amministrativa), nel caso in cui la sanzione applicata sia solo formalmente amministrativa, ma voglia in realtà sostituirsi (o aggiungersi) alla (eventuale) sanzione penale.
Da tale approccio, infatti, emergerebbe una violazione del divieto di “bis in idem” processuale (porre le basi per due procedimenti per lo stesso fatto nei confronti della stessa persona fisica) e del divieto di “bis in idem” sostanziale (porre le basi per due sanzioni afflittive, anche se una formalmente amministrativa, per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona fisica).
Giova ricordare che, sempre a livello euro-unitario, il divieto di “ne bis in idem” tra accertamento sanzionatorio amministrativo e penale (acquisito anche dalla giurisprudenza domestica: cfr. Corte Cass. Sez. lav. 11 ottobre 2016 n. 20429), ha trovato conferma in ulteriori arresti giurisprudenziali e disposizioni europee. In particolare, va ricordata Corte EDU, Grande Camera, 15 novembre 2016, causa “A. e B. c. Norvegia”, lì dove si ritiene non violato il suddetto principio, solo in presenza di una «connessione sostanziale e temporale» fra due procedimenti contestuali, cui aggiungere la c.d. “Direttiva europea PIF” (2017/1371), che ammette il “bis in idem” verso i pubblici funzionari solo ed esclusivamente in caso di frodi finanziarie europee.
Ora, per i fatti contestati alla Sig.ra G. , non si rientra in nessuna delle ipotesi di deroga al divieto di “ne bis in idem” (contestualità di contestazioni o contestazioni in tema di frodi europee). Di conseguenza, l’aver voluto comunque agganciare la identificazione del «comportamento oltraggioso» all’assenza della contestuale azione penale, produce due conseguenze alternative, entrambe non ammesse dalle garanzie euro-unitarie:
– o attesta un’intenzione sanzionatoria “anticipatoria” dell’eventuale procedimento penale, con l’effetto di infrangere – ove il procedimento penale dovesse aver luogo successivamente – proprio la condizione euro-unitaria della
«connessione sostanziale e temporale» tra fatti, accertamenti, soggetti, sanzioni, e così produrre un ingiusto “bis in idem”;
– oppure attesta un’intenzione sanzionatoria “sostitutiva” di quella eventuale penale, giudicando una condotta con una evocazione di stampo penalistico (il «comportamento oltraggioso») ma senza le garanzie di accertamento che solo la sede penale può offrire circa la sua effettiva offensività rispetto al bene giuridico tutelato.
4. Violazione della “Dichiarazione sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani universalmente riconosciuti”, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione 53/144, 8 marzo 1999 e vincolante per l’Italia, ai sensi dell’art. 117 comma 1 Cost., nonché delle connesse “Linee Guida OSCE” per i difensori dei diritti umani.
La Sig.ra G. ha partecipato ad una manifestazione dichiaratamente antifascista e di denuncia verso il movimento neo-fascista “Forza Nuova”. Ha manifestato dunque in nome dell’antifascismo che legittima la Repubblica italiana e la sua Costituzione. Di conseguenza, la Sig.ra G. è qualificabile come “difensore dei diritti umani”, nei termini definiti dalla “Dichiarazione” ONU approvata con la Risoluzione 53/144 del 1999.
Come “difensore dei diritti umani”, la Sig.ra G. deve godere di tutte le garanzie di rispetto dei suoi comportamenti, identificati sia dagli artt. 1, 2, 4 e 7 della suddetta “Dichiarazione” sia dai Principi 23 e 92 delle “Linee guida” OSCE per la difesa dei difensori dei diritti umani in Europa.
Diversamente orientandosi, la pubblica amministrazione procedente nei confronti della Sig.ra G. si renderebbe responsabile di comportamenti, rilevanti ai sensi degli artt. 19 e 20 della suddetta “Dichiarazione” e dei Principi 94 e 95 delle citate “Linee guida” OSCE.
La Sig.ra G. ha manifestato dissenso contro una organizzazione dichiaratamente neo-fascista, di fronte a forze di polizia schierate paradossalmente a tutela dei gruppi neo-fascisti; ed ha agito nella consapevolezza di non voler avallare qualsiasi azione od omissione lesiva dei diritti di qualsiasi persona umana, come notoriamente preteso invece dai gruppi neo-fascisti presenti, e per salvaguardare la democrazia contro qualsiasi ripensamento neo-fascista: il tutto nel quadro legittimato dagli artt. 10 e 18.2 della suddetta “Dichiarazione” (oltre che ovviamente preteso dalla fedeltà alla Costituzione italiana).
A queste condizioni di fatto, notoriamente rappresentate anche dai media, impuntarsi su un non meglio definito «comportamento oltraggioso» della Sig.ra G. significherebbe considerare “onorevole”, per un pubblico dipendente della Repubblica italiana nata dall’antifascismo, l’assistere in silenzio al rigurgito di piazza di atteggiamenti, minacce e slogan neo-fascisti, con un
contegno di “disciplina e onore” senza qualità, tanto formalmente ineccepibile quanto contenutisticamente colpevole di rinuncia al patriottismo costituzionale.
Tale inaccettabile conclusione non solo tradirebbe l’art. 20 della suddetta “Dichiarazione” («Nulla nella presente Dichiarazione deve essere interpretato in modo tale da permettere agli Stati di sostenere e promuovere attività di individui, gruppi di individui, istituzioni o organizzazioni non-governative contrarie alle norme della Carta delle Nazioni Unite») ma risulterebbe, essa sì, contraria alla fedeltà alla Costituzione.
Pertanto, proprio in nome della Costituzione repubblicana antifascista, nessun procedimento disciplinare è legittimamente ammissibile nei confronti della Sig.ra G..
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