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Banda POPolare dell’Emilia Rossa: nuovo CD, resistenza sempre

Banda POPolare dell’Emilia Rossa: nuovo CD, resistenza sempre

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In uscita per il prossimo autunno il secondo CD della Band emiliana, “autofinanziato e autoprodotto” secondo lo spirito militante che li contraddistingue. “La madre del partigiano”, questo il titolo che riprende una poesia di Gianni Rodari, per il 70° della Liberazione.

di Anna Maria Bruni

In linea con lo spirito rivoluzionario che li contraddistingue, stufi di troppi 25 aprile festeggiati in modo “conformista, e svuotati di qualsiasi spirito combattivo”, hanno detto basta e hanno deciso di reagire. E’ così che il 25 aprile del 2011, a Modena, è nata la Banda POPolare dell’Emilia Rossa.

“Davvero – mi dice al telefono Paolo Brini, Comitato Centrale della Fiom e voce del gruppo – l’abbiamo messa su per suonare sul camion della banda del corteo del 25 aprile, cantando canzoni della resistenza”.

Solo che da allora non hanno più smesso. A costo di fare i salti  mortali tra famiglie e lavoro. Perché a parte Valerio Chetta e Enrico “Prozac” Calanca, rispettivamente hammond e pianoforte e fonico, che hanno fatto della musica la loro professione (precaria per gli artisti tanto più quanto è pervasiva per tutti) gli altri fanno tutti un altro lavoro.

Oltre a Paolo Brini, sindacalista, Matteo Parlati, basso, è un operaio della Ferrari reparto corse dove è rls rsa Fiom, Peppe Violante, batteria, è un operaio Maserati, anche lui rls rsa Fiom, Marco Pastorelli, percussioni, è un lavoratore Crown e componente del direttivo Fiom e Manuel Carrabs, chitarra, lavora alle dipendenze dell’Arci.

Unici fuori da questa lista sono il violino, detto anche “L'Innominato”, che lascia intendere oltre che l’anonimato la reticenza sul posto di lavoro e, ultima ma non certo ultima Francesca Parlati, tastiere, l’unica donna “ma che fa per otto”, dice Brini, che è studentessa universitaria in cerca di occupazione.

E non hanno più smesso di cercare nel vastissimo repertorio di canzoni della resistenza, pescando anche dall’immenso archivio del Gianni Bosio e dell’Istituto De Martino, per poi dare vita alla produzione originale.

Già il primo disco, “Rivoluzione permanente” del 2013, “autofinanziato e autoprodotto – ci tiene a sottolineare Paolo – 1300 copie vendute, tutte durante i concerti”, è composto di 8 brani tradizionali e 2 originali, di cui uno sulla situazione attuale e “sulla necessità della riscossa operaia”, precisa.

Il secondo disco, la cui uscita è prevista per l'autunno, di cui il video al link fa da promo, è titolato “La madre del partigiano” (una scelta voluta per onorare il settantesimo della liberazione) perché mette in musica la poesia di Gianni Rodari, e contiene molti più brani originali. Un Brecht musicato (con l’amichevole partecipazione di Daniele Sepe al Sax), “il violino di Vik”, dedicata a Vittorio Arrigoni e ispirata alle poesie di Darwish, splendido poeta palestinese, e “un pezzo dedicato alla strage nazista perpetrata dal governo ucraino alla sede del sindacato di Odessa del 2 maggio 2014, 42 morti”, per elencarne alcuni.

“Inoltre – continua Paolo – il cd si chiuderà con una lettera di un condannato a morte particolare, Manoukian Missak, armeno a Parigi, antinazista e antifascista, ovvero non antitedesco ma assolutamente internazionalista, cioè lo spirito della resistenza tradita, condannato a morte e ucciso il 21 febbraio ’44, alle soglie della liberazione dall’occupazione nazista in Francia”.

Musica per vecchi animali, direbbe qualcuno. E invece li chiamano in tanti: dai centri sociali alle fabbriche in lotta, oltre alle iniziative dell’Anpi, non sono pochi quelli che credono che la resistenza vada rinnovata, e che bisogna farlo anche attraverso la passione che musica e canzoni da cantare insieme sanno smuovere nei cuori e nell’anima.

Ed è possibile anche perché per loro è “un modo di fare politica attraverso la musica” chiarisce Paolo, perciò fatti salvi il pagamento di chi lo fa per mestiere, i rimborsi vanno a finanziare le spese e la produzione dei cd.

E chi sa che qualche produttore, con la stessa coerenza verso quello spirito rivoluzionario, dica basta alle major e decida che è ora di diffondere questa musica, attraverso la loro voce. Sarebbe come finanziare un modo appassionante di fare politica.

 

 

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