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Marco Revelli – la monarchia di Napolitano

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LA MONARCHIA DI NAPOLITANO

Riflessione di Marco Revelli sulla situazione politica


Sui tratti da monarchia della situazione e sul collasso delle istituzioni. Uno spunto per le assemblee diffuse da organizzare

VOGLIAMO DISCUTERE INSIEME PER AGIRE INSIEME

LONTANO DA BISANZIO, VICINO AI CITTADINI E ALLE CITTADINE

 

Non c’è più tempo, apriamo un confronto nei territori, cogliamo l’occasione

È stato rieletto Napolitano perché la candidatura Rodotà – che ha dato rappresentanza alle istanze della democrazia, dei beni comuni e dei diritti – è inaccettabile per le politiche liberiste europee, la sua elezione avrebbe costituito un ostacolo nel progetto dell’insediamento di un nuovo governo “di larghe intese” che, in continuità con il governo Monti, fosse compatibile con il quadro delle politiche europee e del cosiddetto “pilota automatico”.
Così prende il via il secondo governo Napolitano- Europa che, commissariando il parlamento, sancisce un presidenzialismo di fatto e rende Berlusconi il grande vincitore, facendolo passare da processato a padre della patria.
Le elezioni? Il voto? Il cambiamento? La democrazia? Nei tempi di Napolitano e del pilota automatico europeo non sono questioni rilevanti. Napolitano ha costruito una proposta coerente mettendo insieme chi ha programmi compatibili con i dettami della troika europea. Di queste compatibilità il gruppo dirigente del PD è il massimo garante. Il governo Letta, è infatti un governo politico PD-PDL che mostra ancora una volta come per il gruppo dirigente del PD Berlusconi non sia mai stato un reale problema, mentre lo è per milioni di cittadini.

PROPONIAMO di coagulare la mobilitazione di questi giorni in un percorso di assemblee territoriali fra il 4 e il 16 maggio: occasioni pubbliche aperte ai soggetti attivi singoli e collettivi (associazioni comitati movimenti…) per discutere quanto sta succedendo, per costruire la partecipazione alla manifestazione del 18 maggio a Roma, ma soprattutto per animare un confronto che avrà una prima fase di sintesi nella due giorni di Bari il 15 e 16 giugno, su democrazia e rappresentanza.

 

PARTENDO DA TRE CONSIDERAZIONI:


1) Ci arrendiamo al presidenzialismo di fatto o lavoriamo per la ricostruzione delle istituzioni e delle forme politiche organizzate della democrazia?
Non c’è dubbio che tra il 24 di febbraio e il 24 di aprile l’Italia ha cessato di essere una “democrazia parlamentare”. Non sarà un golpe, in senso tecnico. Ma di certo è un devastante mutamento di “regime politico”: stanno cambiando infatti in misura sostanziale e regressiva la nostra forma di governo. Intanto perché è venuto meno il ruolo rappresentativo del Parlamento, con la formazione di una maggioranza che riesce a contraddire platealmente la volontà dell’intero elettorato (di tutte e tre le aree uscite dalla competizione elettorale).
E perché in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica, il Parlamento si è chiamato fuori (per la seconda volta in poco più di un anno), rinviando la scelta al Capo dello Stato appena scaduto. Il quale è diventato, a tutti gli effetti, il baricentro del sistema istituzionale ed ha assorbito la funzione di indirizzo politico e di  demiurgo di un Governo che opera grazie e sotto il suo “tutoraggio” (così è stato scritto) La sede della sovranità si è spostata, dal suo luogo naturale – il potere legislativo – alla figura “monarchica” del Presidente.
Il Parlamento è fuori gioco perché l’ “agenda Monti” deve continuare a costituire la linea guida del Governo sotto una doppia tutela: quella ravvicinata del “Presidente-sovrano”, quella più distante ma in realtà decisiva dell’ “imperatore-pilota automatico” delle compatibilità liberiste europee. Per questo motivo l’opzione di un presidente come Rodotà, che sarebbe stata la risposta davvero alternativa, non è stata neanche presa in considerazione. Il “giovane” Letta si confà invece perfettamente allo scopo: come Monti membro della Trilateral e con la sua VeDrò, circolo che raccoglie personalità di diversa provenienza politica, ma tutte ben gradite ai poteri forti europei, vaticani e USA. Si configura al fondo una prospettiva minacciosa in cui Governo e Piazza verrebbero a confrontarsi direttamente e frontalmente, senza diaframmi: l’estinzione in diretta dei partiti politici mina al cuore la democrazia.
È a questo scenario che dobbiamo opporci costruendo un’alternativa. Continueremo a difendere con decisione la democrazia parlamentare, come fonte essenziale dell’equilibrio dei poteri, ma occorre al tempo stesso ricostruire forme di organizzazione e soggetti politici nuovi.

2)  Lontano da Bisanzio, vicino ai cittadini e alle cittadine

Al cuore della crisi istituzionale che viene così pesantemente avviata a un esito carismatico-presidenziale sta, infatti, la crisi dei partiti: la vera causa dell’eutanasia parlamentare a cui abbiamo assistito in diretta. E in particolare dell’unico vero Partito che era rimasto in campo, il Partito Democratico.  Il PD si è decomposto sotto i nostri occhi non tanto perché diviso in linee politiche contrapposte (una favorevole all’accordo col centro-destra, l’altra con l’area “grillina”): sarebbe ancora una lettura ottimistica perché presupporrebbe l’esistenza di aggregati politici al suo interno. In realtà esso è esploso perché dilaniato da un coacervo di ostilità personali, di rancori, volontà di vendetta e ambizioni non mediabili perché già da tempo prive di un orizzonte politico. Probabilmente il PD non si spaccherà lungo un’unica linea di frattura chiara destra-sinistra, ma secondo una geografia dei frantumi che riflettono le molteplici bande in campo (le testate plurime di cui ha parlato Bersani). E la dimensione personalistica cospargerà il campo di macerie e di veleni. Per questo motivo la sua crisi – che potrebbe durare a lungo, prima di produrre effetti organizzativi –  rischia di non aprire alcuna prospettiva di ricostituzione di un qualche “soggetto di sinistra”.
Né temiamo ci sia molto da aspettarsi dalle formazioni quali SEL, perché il crollo della casa principale può facilmente finire per travolgere chi ha fatto del centrosinistra la propria prospettiva.
È bene essere netti fin da subito, e dichiarare la nostra volontà di tenerci ben distanti da questo clima da Bisanzio nel momento della caduta dell’Impero.
Tuttavia la fine del grande equivoco del PD, al centro del grande equivoco del centrosinistra, può anche liberare possibilità e risorse. Lo spostamento di una parte del parlamento e della sinistra nel campo dell’opposizione a una nuova operazione simil-Monti nella forma di governo delle larghe intese è un dato positivo, se comporta però l’assunzione consapevole di un’altra prospettiva culturale e politica. Ci interessa infatti fare riferimento e ragionare con quell’Italia vasta, tutt’altro che minoritaria, radicalmente democratica e dunque contraria alle politiche del rigore di classe, che si è riconosciuta diversa intorno alla figura limpida di Stefano Rodotà – non certo ritornare alla pratica deprimente e sterile di rimettere insieme pezzi di ceto politico spinti fuori dalla geografia mobile dei partiti e in crisi di appartenenze.
Ci interessa l’Italia che vuole il cambiamento, l’Italia delle persone senza lavoro e precarie a vita, degli operai  e operaie  privati di contratti democrazia e diritti, dei giovani  e delle ragazze senza futuro e senza reddito, dei ceti impoveriti dalla crisi e dalle disastrose politiche di austerità di genere e di classe, l’ Italia che non può più aspettare e lotta per tenere insieme lavoro, reddito, diritti e democrazia. Per questo c’impegniamo nella mobilitazione diffusa verso l’appuntamento del 18 maggio a Roma con la FIOM.

3)  Sottostare al pilota automatico o riprendere in mano i comandi?

E’ il momento di ripartire dal basso, come sta nel nostro DNA. Offrire alla grande e dispersa massa delle persone spaesate ed esodate della politica un’occasione d’incontro – uno “spazio pubblico” in cui ritrovarsi – intanto per elaborare insieme un’immagine condivisa di quanto accade, e poi per costruire le proposte per un’azione attiva.
Non rinunciando alla denuncia delle colpe delle “caste”, ma soprattutto per innestare dentro la crisi politica e istituzionale la “questione sociale”, la risposta alla sempre più rapida asfissia economica e sociale: spread basso e disoccupazione alle stelle, finanza soddisfatta e l’economia reale che muore.  E’ di lì che la crisi della politica parte: dall’operare di quel “pilota automatico” evocato da Mario Draghi per rassicurare gli investitori, e che invece dovrebbe allarmare tutti i democratici, perché significa che la democrazia è sospesa. Inoperante. Partiamo dalle lotte  e dalle vertenze in atto nei luoghi dove viviamo e leggiamole come parte della crisi più generale, trasformandole da conflitti specifici in onda  di cambiamento generale.

ALBA- Alleanza Lavoro Beni comuni Ambiente

http://www.soggettopoliticonuovo.it/2013/04/30/vogliamo-discutere-insieme-per-agire-insieme/

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